Il tumore al seno è la neoplasia più frequente in assoluto nella popolazione femminile, che colpisce una donna ogni 8 nell’arco della vita.
Nel 2017, in Italia, si sono ammalate di tumore al seno circa 50.500 donne e 500 uomini.
In media, in assenza di condizioni particolari (come la mutazione genetica nei geni BRCA), il rischio di ciascuna donna di ammalarsi è del 10-12%. Questa percentuale, però, varia molto con l’età. Secondo i dati dell’Associazione Italiana Registri Tumori (Airtum), è del 2,4% fino a 49 anni (1 donna su 42), del 5,5% tra 50 e 69 anni (1 donna su 18) e del 4,7% tra 70 e 84 (1 donna su 21).
Rispetto all’incidenza di tutti gli altri tumori (eccetto quelli della cute), il carcinoma della mammella è quello più frequentemente diagnosticato sia tra le donne sia nella fascia d’eta 0-49 anni (41%), sia nella classe d’età 50-69 anni (35%), sia in quella più anziana ≥70 anni (22%).
Il carcinoma alla mammella è anche un tumore che dalla sua sede primaria – il seno – può diffondersi in altre parti del corpo distanti, attraverso le vie linfatiche e i vasi sanguigni. Gli organi più colpiti sono le ossa, i polmoni, il fegato e il cervello.
Il tumore al seno metastatico è una malattia curabile, sebbene in genere non ancora guaribile. I due termini sono usati spesso come sinonimi, ma significano due cose diverse. Curabile vuol dire che la malattia può essere trattata con le terapie e tenuta sotto controllo e che può anche andare in remissione completa (cioè sparire) per un certo periodo di tempo. Questo però non significa guarire dalla malattia, perché le metastasi tendono a ricomparire.
Le metastasi sono quindi l’eventualità più pericolosa in caso di tumore al seno, ma è stata appena fatta una scoperta eccezionale: gli stessi tumori hanno un ‘freno’ naturale, che azionano in casi particolari per bloccare la crescita delle loro stesse metastasi.
Questo sorprendente meccanismo di autoregolazione è stato osservato per la prima volta nei topi con cancro della mammella e nelle cellule prelevate da pazienti colpite dalla stessa malattia: se confermato, in futuro potrebbe diventare bersaglio per nuove terapie di precisione.
Lo studio che ha scoperto questo sorprendente meccanismo è stato pubblicato su Nature Cell Biology dai ricercatori australiani del Garvan Institute of Medical Research, in collaborazione con il Brigham and Women’s Hospital e il Dana-Farber Cancer Institute di Boston, l’Università di Harvard e il Massachusetts Institute of Technology (Mit).
In particolare nel corso di alcuni esperimenti effettuati sui topi, i ricercatori hanno scoperto che il tumore primario è in grado di agire a distanza sulle cellule che danno luogo a metastasi, per impedirne la progressione.
Ciò avviene grazie alla produzione di una molecola, la interleuchina-1 beta (Il-1-beta) che scatena una risposta infiammatoria da parte del sistema immunitario. Per effetto di tale molecola, le cellule immunitarie si diffondono in tutto l’organismo e una volta scovate le cellule metastatiche, le bloccano prima che moltiplicandosi possano dar luogo a un tumore secondario.
Come abbiamo detto, il meccanismo è stato osservato nei topi, ma potrebbe essere analogo anche negli esseri umani: su 215 pazienti con tumore del seno ad alto rischio di metastasi, si è registrato un tasso di sopravvivenza più elevato in quelle donne che avevano sviluppato la risposta infiammatoria producendo alti livelli di interleuchina-1 beta.
Tra l’altro, già altri studi precedenti avevano evidenziato che le pazienti con tumore al seno ad altissimo rischio metastasi presentano un tasso di sopravvivenza decisamente più elevato nelle donne che avevano una risposta infiammatoria che produceva grandi quantità di interluchina-1 beta.
“E’ un risultato molto interessante, perché dimostra per la prima volta che fattori pro-infiammatori prodotti dal tumore per facilitare la propria diffusione possono agire anche in senso opposto, come un freno intelligente che ne limita la crescita”, commenta Giuseppe Curigliano, docente di oncologia medica all’Università di Milano e direttore della Divisione Nuovi Farmaci dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo).
“Ciò dimostra ancora una volta quanto siano importanti i segnali di crescita o di stop che la cellula metastatica riceve dal microambiente circostante”, ma non solo. “Lo studio – ha chiosato l’oncologo – ci dà preziose indicazioni anche per le sperimentazioni in corso di nuovi farmaci anticancro, come gli inibitori del recettore per l’interleuchina-1: alla luce di questi nuovi risultati, è infatti possibile ipotizzare che il loro utilizzo combinato con la chemioterapia si riveli un pericoloso boomerang, perché se da un lato riesce a ridurre il volume del tumore primario, dall’altro rischia di facilitare lo sviluppo di metastasi a distanza”.